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I TRE GIORNI DEL CONDOR
(THREE DAYS OF THE CONDOR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 febbraio 1976
 
di Sydney Pollack, con Robert Redford, Faye Dunaway, Cliff Robertson, Max von Sydow, John Houseman (Stati Uniti, 1975)
 
Visto come film poliziesco, o come thriller politico (nella linea di SETTE GIORNI A MAGGIO di Frankenheimer o dell'indimenticabile TEMPESTA SU WASHINGTON di Preminger) l'ultimo film di Pollack non deluderà nessuno. Gli appassionati del primo genere troveranno infatti una trama condotta con abilità rara, montaggio folgorante, grande direzione d'attori, sensibilità nella descrizione dei rapporti fra i personaggi - una costante, questa, di tutta l'opera di Pollack). Quelli del secondo, godranno di una descrizione della CIA per quello che arrischia spesso di apparire: una organizzazione criminale priva di scrupoli. Robert Redford ne è un impiegato assai emarginato: legge dei libri provenienti da ogni parte del mondo, alla ricerca di eventuali codici da passare ai superiori. Coinvolto in una serie di omicidi, attirato in una spirale sempre più incomprensibile di mistero, poi di inquietudine, poi di terrore, egli si renderà conto non solo del doppiogiochismo, ma dell'assurdità e della depravazione di una corsa alla violenza ed alla sopraffazione eretta a sistema.

Ma in un film di Pollack bisogna cercare altri valori, perché l'autore di JEREMIAH JOHNSON (il suo capolavoro) o di COME ERAVAMO ci ha trasmesso alcuni dei temi più interessanti del cinema americano degli ultimi dieci anni. Non a caso Redford è un lettore, nella vicenda. Egli rappresenta la ragione, l'intelligenza. Il suo compito e quello di trasmettere il risultato del proprio ragionamento all'ordinatore, dall'uomo alla macchina. L'informazione prende una via che sfugge al controllo, che determina una reazione a catena la cui logica sfugge al protagonista. Questi cercherà nel contatto umano (l'incontro con la squisita Faye Dunaway), nel calore affettivo di questo incontro, la forza per venire a capo di questa reazione a catena disumanizzata. Ma i suoi tre giorni (cosi dura il film) si termineranno come quelli del protagonista di JEREMIAH JOHNSON: nella presa di coscienza di una sconfitta, dell'impossibità di ristabilire quell'ordine, quelle regole primordiali nelle quali il protagonista credeva.

Gli eroi di Pollack escono sconfitti nella vittoria: solitudine, insicurezza, paura rimangono ai protagonisti dopo la distruzione della famiglia (in JEREMIAH JOHNSON) o del nucleo professionale (in questo I TRE GIORNI DEL CONDOR). La sconfitta dell'eroe è quella dell' americano di oggi di fronte al successo ed alla sua mitologia. La solitudine di Robert Redford, nel gesto di tregua con il capo indiano che conclude genialmente JEREMIAH è la medesima del protagonista del CONDOR: in un universo che non crede più nel mito della sicurezza della CIA e della tecnologia. E non a caso è proprio questa ad essere la vera protagonista del film: computer, schermi televisivi, l'uso che Redforfd fa del sistema telefonico, compongono una trama alienante nella quale l'individuo si perde. Dopo essersi cullato nella sicurezza che questo sistema sembrava promettergli.

Con I TRE GIORNI DEL CONDOR Pollack continua cosi il proprio discorso contro quei miti nei quali l'americano della nostra generazione si è formato: nelle opere precedenti si era distanziato nel tempo: l'epoca pioneristica di JEREMIAH JOHNSON, gli anni della depressione in NON SI UCCIDONO COSI ANCHE I CAVALLI, quelli di Roosvelt in COME ERAVAMO. Qui, egli fa della cronaca dei nostri giorni. Ed è forse una delle ragioni per le quali la pellicola sembra essere meno nitida di certe che l'hanno preceduta. Per riuscire nel proprio intento Pollack deve rovesciare i valori tradizionali, quelli imposti dalla mitologia anche cinematografica: è chiaro che è più facile farlo con la storia che con l'attualità.


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